Dal principio
Il Carnevale di Tricarico è una tradizione che ormai si ripete da sempre, si faceva già da prima che io nascessi… quindi per quel che mi riguarda… da sempre…
C’è sempre stata una dicotomia per me nel modo di osservare quello strano Carnevale, da piccolo, negli anni 80 era ben poco familiare il concetto di “vacca” e questa era una cosa che mi terrorizzava ed al tempo stesso mi attirava, era un fascino segreto, che sapeva di pericolo e per questo mi limitavo a guardare. Io ero uno di quelli che a Carnevale si vestivano da Arlecchino e che per le recite della parrocchia interpretava Balanzone o Brighella e mi faceva davvero strano vedere questa gente, poca per la verità, vestirsi con costumi così oscuri. Li vedevo apparire come fantasmi rumorosi, come quelle anime dannate che scuotono le catene per spaventare i vivi, e quando qualche volta venivano a casa per la serenata, mi nascondevo sotto al tavolo.
Eh sì direi proprio che il mio rapporto con la maschera di Tricarico non è cominciato in maniera amichevole… era una cosa paurosa… una cosa da grandi.
E’ vero , i miei genitori mi incitavano a toccarne i nastri e la campana, ed i mascheranti mi sorridevano ma a me la paura restava ed io non la capivo, perché mai avrei dovuto? In tv non c’erano dei cartoni animati con le maschere di Tricarico, e neppure i miei amici di scuola “si vestivano”, o meglio erano davvero in pochi a farlo e poi erano quelli dell’altra classe…
L’odore pungente del sangue
Queste maschere mi ricordavano il “periodo del salame”, quando tutti e 4 i miei nonni, i vicini di casa, i miei genitori ed i miei zii si raccoglievano attorno al tavolo per fare il salame. Oggi la produzione dei salumi ha preso strade diverse, ci si preoccupa di salvaguardare la biodiversità, di produrre a km zero e trova la sua eccellenza nel suino nero lucano, ma allora non potevo immaginare nulla di tutto questo.
In quei giorni, tornando da scuola si pranzava in garage, un’allegra stanzetta con il caminetto, che sembrava fatta apposta allo scopo, l’unico problema era entrarvi. E già, perché prima del focolare bisognava attraversarne un’altra di stanza, più piccola, nella quale ogni anno, penzolavano sguaiatamente i soliti 4 maiali in attesa di essere lavorati, divisi a metà per il lungo ed appesi a testa in giù grondanti sangue. Una bavina di muco rossa scendeva dal naso fin sul cartone a protezione del pavimento. E lì c’era quell’atmosfera di festa e quell’odore di sangue e carne cruda, un mix possibile solo in quei giorni. Un misto di stupore e paura, tanto forte e strano quanto quello che provavo alla vista delle vacche.
Un periodo di sensazioni forti il periodo di Carnevale: la testa del maiale nel secchio, le urla delle serenate nel bel mezzo della notte, la paura delle vacche, il ripetersi infinito del circolo della vita.
Oggi l’ho superata quella paura. Del resto vorrei ben vedere: anche io finalmente mi vesto con orgoglio da vacca. Conservo però il ricordo prezioso di quel timore che considero una specie di buco per la serratura. Si tratta di un luogo semi-sicuro da cui spiare il ballo forsennato di questi spiriti animali.
Questi non sono solo nastri colorati, osservateli mentre saltano, loro sono le forze della natura e propizieranno, per noi, il raccolto dell’anno venturo.

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